Gazzetta di Reggio

L’intervista

Vinicio Capossela torna a Ca’ de Caroli: «Il mio Eden, il mio Shangri-Là»

Adriano Arati
Vinicio Capossela torna a Ca’ de Caroli: «Il mio Eden, il mio Shangri-Là»

Scandiano: L’artista si esibisce alle Ciminiere, nel ventennale del circolo: «Qui si perpetua un modo di vivere comunitario che ho respirato da piccolo»

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Scandiano Si torna a Shangri-Là. Sarà un cammino a ritroso nei ricordi personali e collettivi di una comunità quello che Vinicio Capossela costruirà stasera, lunedì 21 luglio, nella sua Ca’ de Caroli, la frazione scandianese in cui è cresciuto e in cui vive la sua famiglia. Lo farà nel luogo simbolo del paese: il circolo Arci Le Ciminiere, costruito dove sorgevano le fornaci per la produzione di calce e gesso, che per decenni hanno rappresentato la principale fonte di lavoro in un territorio dalla forte tradizione proletaria. L’occasione è speciale: la rassegna di luglio celebra i 20 anni del circolo, nato dall’impegno degli abitanti per compensare la vendita della vecchia Casa del Popolo del Pci, che per lungo tempo era stato punto di riferimento e aggregazione. La serata inizierà alle 20.15 con la cena, seguita dallo spettacolo Shangri-Là, in cui Capossela sarà affiancato da Stefano “Asso” Stefana, chitarrista con cui collabora da tempo. 

Tra mito e realtà
Il titolo rimanda a un mito letterario, diventato anche parte della memoria locale. L’ispirazione nasce dal romanzo di James Hilton Orizzonte perduto, reso celebre dal film di Frank Capra del 1937: una storia in cui un disastro aereo porta i sopravvissuti in un villaggio dell’Himalaya, isolato da tutto, privo di turbamenti e negatività. Quel nome, arrivato da lontano, è diventato familiare anche a Ca’ de Caroli: nel linguaggio del paese, è uno dei modi con cui gli abitanti chiamano affettuosamente la loro frazione.

«Io sono cresciuto in un condominio che si chiamava Shangri-Là – racconta Capossela –. I vicini più anziani mi spiegavano che era la città dove non si invecchia mai. Poi mi sono informato sulla storia, che parla fondamentalmente di una sorta di Eden, una comunità dove non ci sono violenze né soprusi. L’ho sentito descrivere anche come luogo dell’eterna giovinezza. Ma in fondo, la giovinezza cos’è, se non lo stato dell’innocenza?».

L’Eden come metafora di Ca’ de Caroli?
«L’idea dell’Eden non è solo quella di uno spazio da recintare e preservare – riflette –. È anche uno spazio di eguaglianza, di utopia, ma fuori dal tempo. Pensiamo alla favola biblica del giardino terrestre: mangiare la mela è il peccato originale, è ciò che determina la caduta nel tempo. Da lì in poi si invecchia. È l’esperienza del vivere che ci consuma. Questa fiaba è bellissima: senza tempo non c’è corruzione, non c’è la fatica dell’esperienza. Ma senza esperienza non ci sarebbe nemmeno la vita».

Ricordi indelebili Un’utopia, certo, ma che può incarnarsi anche in una comunità concreta. «A Ca’ de Caroli c’erano la fornace e l’officina, costruita a inizio ‘900. In un mondo ancora prevalentemente contadino, quella era una delle poche presenze operaie. Lavoro, spazi comuni, la pista da ballo: elementi rari allora, che hanno fatto nascere un senso forte di appartenenza, di coscienza collettiva». Un legame che continua ancora oggi. «È bello che un mito orientale abbia messo radici in un piccolo paese dell’Emilia. Qui, dove gli abitanti si riconoscono come parte di un luogo fuori dal tempo, dove si perpetua un modo di vivere comunitario che ho conosciuto fin da bambino. La mia prima esperienza è legata alla Festa dell’Unità: si organizzava insieme, c’erano le cuoche del paese, tutti si davano da fare. Quel senso di partecipazione vive ancora oggi nel circolo. Anche il fatto che le serate inizino con una cena è significativo: si mangia insieme, si condivide, e poi si riflette», sorride. Uno spirito che Capossela porta avanti nei luoghi delle sue radici: Ca’ de Caroli e lo Sponz Festival, che anima ogni anno tra i monti dell’Irpinia. Nonostante le difficoltà, anche nel 2025 il festival si farà. «Quella è una zona che, ancora oggi, è fuori dalla storia. Sono i luoghi dove si deposita l’infanzia del mondo, per certi versi. Come Ca’ de Caroli, come la Macondo di García Márquez, come la Pavana di Guccini».  © RIPRODUZIONE RISERVATA