«Da 40 anni siamo in Etiopia al fianco della popolazione»
L’intervista al presidente del Gaom Alberto Campari
Da 40 anni il Gruppo Amici Ospedali Missionari – Gaom di Castelnovo ne’ Monti aiuta le popolazioni più povere dell’Etiopia combattendo la fame e le ingiustizie.
A raccontarci di questa realtà, nata negli anni Ottanta, è il suo presidente Alberto Campari.
Qual è l’identità del Gaom e qual è la sua storia?
«Il Gaom opera in Etiopia da 40 anni e questo ci ha permesso di poter conoscere continuamente nuove persone e di camminare insieme a loro. Tutto nacque dal medico castelnovese Riccardo Azzolini, che fu invitato da alcuni missionari dell’ospedale di Gambo a lavorare come aiuto medico in alcune strutture missionarie. Quell’esperienza permise di capire che le criticità erano non solo sanitarie ma anche legate a bisogni primari come avere acqua potabile, vivere in una casa e andare a scuola. Da lì in poi abbiamo allargato le nostre attività a tutto ciò che potesse essere un aiuto sociale per la popolazione e siamo scesi a 40 km da Gambo, a Shashemene (in italiano Sciasciamanna), una baraccopoli di 120mila abitanti altamente degradata, ormai divenuta una città attrezzata. Oggi in missione abbiamo ex ragazzi di strada e di orfanotrofio che ci danno una mano a portare avanti i progetti».
Quali sono i progetti principali che state portando avanti attualmente?
«Attualmente abbiamo quattro progetti. Il primo è la gestione di una casa famiglia in cui ospitiamo 50 ragazzi di strada. Solitamente entrano all’età di 5 anni e noi ci occupiamo della loro istruzione, oltre che di vitto e alloggio. Quando raggiungono la maggiore età, quelli più meritevoli che hanno finito tutti gli studi vanno all’università mentre gli altri sono accolti in una scuola di arti e mestieri, dove abbiamo un panificio, una falegnameria, un orto, alcuni pollai e altro per introdurli nel mondo del lavoro. Il secondo è il progetto “Mariam”, che valorizza le ragazze offrendo loro percorsi di studio e di lavoro mentre il terzo è “Extra food” con il quale cerchiamo di combattere la denutrizione, soprattutto tra le donne e i bambini delle slam di Shashemene e nei villaggi limitrofi: nella stagione secca si arriva a più di 100 donne con bambini in situazioni di povertà estrema. Infine, il quarto progetto è quello di sostenere i poliomielitici nei luoghi dove la missione fu data a fuoco per motivi tribali».
Qual è stato il progetto di maggior successo finora?
«Sicuramente la costruzione di sei villaggi per lebbrosi. Non solo abbiamo salvato le persone ma siamo riusciti a cambiare la mentalità della popolazione di Shashemene dato che si è passati dal lebbroso che viveva al lato della strada a quello che entra in città, si laurea, ha un’attività commerciale e via dicendo».
Quando le è stato affidato il ruolo di presidente e in cosa consiste?
«Il ruolo di presidente mi è stato affidato nel 2010 come successore del dottor Azzolini. Avevano fiducia in me: ho ben 30 anni di esperienza alle spalle in questa associazione. Questa funzione consiste nel coordinare le varie azioni del gruppo, tenere le relazioni con le missioni in Etiopia, fare incontri in scuole, parrocchie e centri per far conoscere l’associazione, ma anche organizzare eventi e tenere relazioni aperte con tutti i volontari, partner e associati».
Che ruolo giocano i volontari in associazione?
«Ciò che noi chiediamo è di non giudicare – siccome la cultura con cui vengono in contatto è molto diversa – e di condividere perché bisogna camminare insieme come volontari e aiutare la popolazione. Quindi il ruolo dei volontari è molto importante perché grazie a loro si vive letteralmente una sensazione di famiglia».
Qual’è il messaggio che volete dare alle persone, in particolar modo ai giovani?
«Di non avere paura, di mettersi in gioco e di condividere perché si scopre che siamo tutti fratelli e il mondo è meraviglioso».
*Studente dell’istituto Mandela